lunedì 12 aprile 2010

Un guscio d'esultanza: la differenza tra narrazione e teatro-teatro


Nella forma, c’è la vita delle cose, la traccia performata e quindi più autentica del desiderio. Il contenuto non basta, anzi può essere persino d’intralcio. Prendiamo il monologo di Antonio Iannello, La vera storia di un guscio d’esultanza. Se dovessimo limitarci a “dire” la storia, potrebbe risultare simile a molte altre: la difficile educazione sentimentale di un ragazzo di provincia stretto tra il clericalismo pornografico (perché automatico) del paesello, e l’aspirazione ad una vita più libera che trova espressione in un campionato di calcetto. Teoricamente, potrebbe andare ad ingrossare gli “Album” di Paolini o di qualche suo minore emulo. Invece, l’opera, scritta diretta e interpretata dallo stesso Iannello, in scena con due musicisti di teatralità istintiva (Pino Pecorelli – contrabbasso e chitarrella – e Raul Scebba – tamburi e sonagli -) si situa in una zona sottile, pulviscolare, di spettacolazione. Volontariamente imbruttito per andare incontro al personaggio, il performer recinta se stesso dentro un cerchio di lampadine, sedioline colorate, nanetti da giardino ed oggetti che richiamano il mistero, e la tragedia dell’infanzia. Ogni elemento di scena, compreso l’abito, è volto a creare un effetto da music-hall metafisico, tanto più potente quanto più in grado di lavorare per contrasto rispetto alla dimessa, punitiva atmosfera della vita di paese.
E’ come se di questa storia ordinaria si rivelasse la vita segreta che contrariamente a quanto si posa pensare, non abita una zona nera ma una terra luminescente, stralunata. Ecco la vera ragione del paradosso evocato nel titolo: un guscio, un involucro, che però esulta, emette elettricità. Alla fine di questo viaggio violento e comico (in certi momenti Iannello si deforma fino a toccare la figuratività di un Jerry Lewis) nell’intimità, si compie una specie di miracolo. Il desiderio esplode dentro i confini di questo giovane corpo che, invece di inginocchiarsi, piegarsi e svanire sotto il peso delle prediche di cattivi maestri, si raddrizza e tira un calcio alla palla, ruotando il volto verso il cielo : “Mi dispiace per voi, ma io sono vivo, il più vivo possibile, vivissimo”. Un guscio d’esultanza, appunto. (visto al Teatro Cometa Off di Roma, per la tournèe http://gusciodesultanza.blogspot.com/)

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