martedì 29 marzo 2011

Daniele Sepe, l'anarco-comunista


Negli ultimi mesi si è scatenato con tutti i mezzi che aveva a disposizione, canzoni, interviste, piazze reali e virtuali, facebook in particolare, anzi “fessbuk”, come lo chiama lui in musica e parole. Ha detto, più o meno, che Roberto Saviano è un burattino nelle mani di burattinai (procure, editori, politici), uno scrittore “manovrato” da ben altri poteri, autore di un discreto “libro di costume” (Gomorra) diventato indegnamente un “intoccabile”. Non pago, ha attaccato anche “il manifesto” che da anni edita i suoi album, tacciandolo di giustizialismo, e attribuendone la crisi non ad un fattore economico ma politico: “Da qualche tempo ha smarrito la vocazione di quotidiano comunista”. Per tutta risposta, un mucchio di lettori insubordinatissimi lo voleva fare direttore del giornale. Spiritosamente (o forse no?) lo candidavano anche Franco Piperno e Oreste Scalzone, suoi grandi amici. Ma lui ho detto: no, grazie, non sono neanche pubblicista, e poi ho già il mio giornale su “fessbuk”. Di professione, è un sassofonista e compositore, di indole “un arrabbiato”. Daniele Sepe ha 51 anni, non si è mai spostato dalla sua babelica Napoli né dagli ideali comunisti. In questa intervista, ci spiega le ragioni e gli obiettivi della sua indomabile rabbia.


“Fessbuk, buonanotte al manicomio”, il suo ultimo album, benché sia uscito da alcuni mesi, fa ancora molto parlare di sé, non solo per la musica e per il rap contro Saviano, ma anche per via dell’accesa discussione che si scatena attorno alla sua pagina facebook, quella vera...

L’album nasceva proprio da quello che accadeva attorno alla mia bacheca facebook. Prima avevo un blog, ma poi ho capito che facebook era un sistema migliore per aggregare persone e idee. I temi che mi interessano particolarmente e che tratto tutti i giorni con tutti i mezzi che ho a disposizione sono due: la ribellione e la questione della violenza/non violenza. Mi appassiona il tema del limite: cosa ti fa essere dentro o fuori la legge. E’ una faccenda che affronto da anarco-comunista.

Anarchico o comunista?

Sono confuso tra i due. Nel profondo, mi sento anarchico, anche se l’anarchia è diventata troppo di moda. Dopo la caduta del Muro di Berlino, tutti sono diventati anarchici e libertari. Anche Giuliano Ferrara afferma di esserlo. Quindi forse è meglio per me dirmi comunista: fa un po’ più paura.

E a chi vorrebbe far paura?

A chi vuole stare sempre dentro i confini della legge.


Quale sarebbe la colpa di chi vuole stare dentro i confini della legge?


C’è una bella differenza tra “legge” e “giustizia”. La giustizia non passa necessariamente per il rispetto delle legge così come è codificata, anzi le due cose sono spesso in conflitto. Io penso che ribellarsi sia una cosa giusta, e che questa ribellione può condurti “fuori” da certe regole, di per sé ingiuste. Faccio un esempio: se ospiti a casa tua un immigrato senza permesso di soggiorno, sei fuorilegge, ma la tua azione è giusta.

Tra “giustizia” e “giustizialismo” ci sarebbe insomma una voragine....

Già, ma soprattutto tutta la stampa di sinistra, tutta la cultura di sinistra, è diventata giustizialista. Tutto questo trova il suo simbolo in Roberto Saviano. Chi oggi si affida completamente ai magistrati, agli organi inquirenti, evitando una seria analisi politica e sociologica, dovrebbe sapere che è stata la stessa Magistratura ad agire ingiustamente contro Pinelli. Non si possono usare due pesi e due misure: magistrati “cattivi” quelli che non risolvono le questioni relative alla strage di Bologna, e magistrati “buoni” quelli che mettono i galera “i cattivi”.


Come l’ha presa Saviano quando lei gli ha dato del burattino?

Considerando il tipo di personaggio che si è costruito addosso - un individuo bravo, giusto, integerrimo -, non credo che l’abbia presa bene, però non c’è stata nessuna risposta pubblica. La sua avventura editoriale e mediatica è stata accompagnata da un giudizio unanime. Io rappresento una delle poche voci discordanti. sono convinto che Saviano sia stato usato per preparare il terreno al dopo Berlusconi.

E da chi sarebbe stato usato?

Tutte le volte che leggo un suo pezzo, mi chiedo: da dove prende queste informazioni? Non credo che lui possa andare in giro con un taccuino.

Non ci può andare perché è sotto scorta, perché è stato minacciato di morte.

Appunto. Non ci può andare. Quindi chi gli dà le informazioni? Gliele dà a Procura, gliele dà il giornale per cui scrive. Non è indipendente. Obbedisce a delle “lobbies”. E questo non è certo un modo di far denuncia.


Come si dovrebbe combattere il sistema mafioso e criminale, secondo lei?

Tagliando la manovalanza a questi signori. Ma la manovalanza continuerà ad esserci perché non ci sono alternative di sopravvivenza. Lo Stato è assente.


Non le sembra che questo suo modo di vedere le cose pecchi di dietrologia, di dispendio ideologico?

Bisogna che il tempo faccia il suo corso per capire se questo tipo di analisi è corretta. Ma io credo di sì. Il piano Marchionne è un problema serio e nessuno, né da destra né da sinistra, se ne preoccupa.

Deduco che lei abbia, a differenza di molti di noi, una idea precisa su cosa sia “di destra” e cosa “di sinistra”...

Penso che queste categorie non siano mai cambiate. Il meccanismo sociale ed economico che fa sì che una persona viva tutta la sua vita “a salario” e il prodotto del suo lavoro (parlo sia di beni materiali che immateriali) viene venduto ad un costo molto diverso rispetto al suo guadagno di fine giornata, ecco, questo meccanismo è di destra. Parlo di Berlusconi come di Draghi e De Benedetti. I capitalisti. Per questa ragione, non credo che De Benedetti sia più a sinistra di Berlusconi.

Riconosce limiti alla rivolta?

Non esistono limiti alla rivolta. Io sono a favore delle reazioni spontanee della gente. Penso a quello che è successo il 14 dicembre scorso, a tuttI quegli studenti che sono scappati di mano.

Però i cosiddetti “moti del 14 dicembre” sono durati solo 12 ore...

A questo ha contribuito proprio Saviano, scrivendo l’indomani su “Repubblica” la lettera agli studenti in cui distingueva tra buoni e cattivi. Quella lettera era l’attacco più forte che il potere potesse sferrare contro gli studenti e la loro rivolta spontanea. Il fatto è che per l’industria culturale italiana, i moti vanno bene se si fanno a Tripoli o Al Cairo, ma non vanno più bene se si fanno a piazza del Popolo. Se la rivolta scoppia a Teheran, allora si grida alla libertà, se invece esplode a casa nostra, allora si tende a spedire i rivoltosi in galera.

In molti suoi interventi, lei ha mostrato una certa nostalgia verso gli anni Settanta e le forme di antagonismo messe in campo allora. Non le sembra anacronistico?

Le cose non sono cambiate non in 40 anni, ma in duemila anni di storia. Le forme del potere e le forme del conflitto antagonista sono più o meno le stesse. La rivoluzione di Gandhi è stata unica nel suo genere, e non ci si può sempre appellare a quell’esperienza, in nome della non violenza. Quel tipo di azione può risolvere il problema dell’indipendenza, ma non quello della condizione sociale. Infatti in India vige ancora il sistema della divisione in caste.

Cosa pensa della canzone di Vecchioni che ha vinto il Festival di Sanremo?

Penso che, con tutto il rispetto per Vecchioni, sia il perfetto inno della Terza Repubblica che sta per arrivare. Ascoltandola, immaginavo che sotto ci fosse scritto: testo di Vecchioni-Fini-Bersani....


E Benigni che impressione le ha fatto?

Immagini di trovarsi in un hotel di Amburgo, di accendere la tv e di vedere un comico tedesco a cavallo avvolto nella bandiera tedesca, che fa discorsi retorici sulla sua patria: lo troverebbe quantomeno inquietante.

Devo ammettere che, messa così, suona come una cosa spettrale.

Per me la bandiera italiana va tirata fuori in una sola occasione: i mondiali di calcio.

C’è qualcuno che le piace?

Mi piace il compagno Bakunin. Mi piace Oreste Scalzone, mio grande amico. E mi piacciono un sacco di persone e di compagni di strada che non vanno in tv, che vivono la vita vera, che stanno dentro i Movimenti...

Vota, almeno?

Una volta ho votato Rifondazione ma poi me ne sono pentito. Non credo che il voto sia un esercizio utile.

Chi vive a Napoli, ha smesso di parlarne. E’ come se le parole fossero tutte morte, come se avesse vinto il nichilismo, la rassegnazione.

Non c’è molto di cui gioire. Napoli è una città bloccata, confusa.

Però Napoli è ancora il grande motivo ispiratore della sua musica.

Non può non esserlo: è un ventre inesauribile. E comunque a Napoli non si vive peggio che in altre città. Sinceramente, non penso che a Brescia stiano meglio. L’Italia è uno schifo, ma non per colpa di Berlusconi. Anche per colpa di Berlusconi, ma non solo sua.


E di chi è la colpa?

Di quella bella e buona borghesia capace di auto-assolversi, di cui Saviano è il simbolo.

Non ha mai pensato se, qualora il sintomo che lei descrive fosse vero, il problema non è Saviano ma la grande macchina dell’opinione e dello spettacolo?

Può darsi, ma lui non si è sottratto a tutto questo.

Come ha reagito quando (nel novembre del 2010) un buon numero di lettori del “manifesto” l’aveva proposto come direttore del giornale con una lettera intitolata “Per un Manifesto comunista contro un Manifesto costumista”?

Ho pensato che avrei potuto fare di meglio di Norma Rangeri.

Scusi, ma se pensa questo, come fa a pubblicare ancora per il “manifesto cd”?

Infatti non sono sicuro che il mio prossimo album uscirà per loro. Se Saviano se ne va dalla Mondadori, Sepe, nel suo piccolo, se ne può andare dal “manifesto”.

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