Un gruppo di
poliziotti spara cinque colpi a freddo contro un uomo che dorme per strada, a
Los Angeles. Il clochard muore subito, senza potersi difendere. Mentre l’Italia
dorme, in America è pieno giorno. Qualcuno riesce a riprendere l’atroce scena.
Un uomo che già ha perso tutto, casa lavoro, affetti, adesso perde anche la
vita.Tanto che valore ha la vita di un barbone? Più tardi, i poliziotti si
difenderanno: «Siamo accorsi perché qualcuno ci ha chiamato per denunciare una
rapina. Quel barbone ci ha provocato, voleva l’arma». Questo filmato su può
vedere, ed è sconcertante. La prima volta, senti nettamente solo gli spari: contro un corpo che è già per terra. La seconda volta guardi altri
dettagli. Due poliziotti si staccano dal branco degli uccisori per trattenere
con la rabbia, spingendola, una ragazzina nera (una senzatetto anche lei?) che
coraggiosamente aveva tentato di difendere il clochard. Dai loro movimenti
capisci che, se avessero potuto, avrebbero ucciso anche la ragazzina. Il
clochard aveva un soprannome, Africa. Ad una terza visione, noti anche altre
persone che si fermano, che non fuggono e urlano: «Oh my God!». C’è un
poliziotto nero fra di loro, che quando è ”tutto finito” abbassa il capo
prendendosi gli insulti di altri neri. Ma la maggior parte degli uccisori sono
bianchi. La scena è stata ripresa, e ti chiedi: e se non ci fossero stati
testimoni? Poi pensiamo che ci sono altri video che hanno inchiodato altri
poliziotti e ciò nonostante non c’è stata alcuna incriminazione, perché anche
questa è l’America del 2015. Un paese in cui la polizia può uccidere un nero e
può farla franca. E’ successo nel Missouri, è accaduto a New York.
Il 9 agosto del 2014 un diciottenne afro-americano, Michael Brown, del
tutto disarmato, è stato ucciso con sei colpi d’arma da fuoco, di cui due alla
testa, a Ferguson, sobborgo di St.Louis. A sparare era stato un agente di
polizia, Darren Wilson. Dopo mesi di indagini, promesse, commissioni, il 24
novembre viene resa nota la decisione del Grand Jury: Wilson non verrà
incriminato. Segue un’altra notte di guerriglia, simile a quella che aveva
messo a fuoco le strade di Ferguson dopo l’uccisione del ragazzo. A luglio, un
poliziotto bianco, Daniel Pantaleo, aveva soffocato un altro nero di 43
anni, Eric Garner, a Staten Island (perché gli aveva visto vendere sigarette di
contrabbando sfuse a 50 centesimi l’una). Una morte orribile. Anche lì un video
che dice la verità e anche lì nessuna incriminazione per Pantaleo. Scoppia una
seconda rivolta. Poi tutto si capovolge e l’America si ricompatta attorno alla
morte di due poliziotti, Rafael Ramos e Wenjian Liu, uccisi da uno
squilibrato che aveva però dichiarato, prima di suicidarsi, di aver voluto con
quel suo folle gesto vendicare la morte di Brown e Garner. Una folla sterminata
partecipa ai funerali di Ramos, la polizia volta simbolicamente le spalle al
sindaco di NY Bill de Blasio, che ha sposato una poetessa afro-americana e che,
dopo i fatti tragici di Ferguson e Staten Island, aveva dichiarato che non si
sentiva sicuro di far girare suo figlio (che è di pelle nera) per le strade di
New York.
Abbiamo visto “Selma”,
l’emozionante film di Ava DuVernay che ricostruisce la storica marcia da Selma
a Montgomery che fu alla base dell’approvazione del Voting rights act (la legge
sul diritto di voto dei neri). Fu un momento della storia in cui si
riuscì a pensare l’impendabile. Era il 1965. Martin Luther King sarebbe stato
ucciso tre anni dopo. Sono passati 50 anni dalla marcia di Selma. Gli Stati
Uniti d’America oggi hanno un presidente nero. Anche questo significa: arrivare
a pensare l’impensabile, e realizzarlo. Eppure, in questo tempo lineare e
progressivo, ogni tanto il tempo si schiaccia su se stesso, ritorna indietro, e
ci mostra il lato più oscuro della violenza. La legge stessa si contrae,
calamita le forze più reazionarie. Nel 2013 la corte suprema degli Stati Uniti
ha cancellato una norma della legge che obbligava gli stati a chiedere
l’autorizzazione del governo federale prima di modificare le leggi elettorali locali.
La sentenza è stata usata da molti stati del Sud (governati dal partito
repubblicano) per introdurre norme che imitano l’accesso al voto dei cittadini
delle fasce più povere della popolazione, e quindi soprattutto dei neri. Almeno
22 stati hanno approvato leggi del genere tra il 2010 e il 2014. Come accadeva
allora, ancora oggi è sempre più difficile registrarsi nelle liste elettorali.
I black delle grandi periferie sono i grandi fantasmi d’America. Li si può
uccidere impunemente. Africa era nero ed era anche barbone. L’avranno scambiato
per un rifiuto, avranno pensato di aver fatto bene a sparargli. Vedremo se
anche per lui, l’ultimo degli ultimi, l’America di Barack Obama farà la sua
rivolta.
(Pubblicato sul "Garantista")
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