martedì 3 marzo 2015

Los Angeles, polizia spara a un clochard nero. Sono passati 50 anni dalla marcia di Selma e i diritti dei black poveri sono di nuovo calpestati





Un gruppo di poliziotti spara cinque colpi a freddo contro un uomo che dorme per strada, a Los Angeles. Il clochard muore subito, senza potersi difendere. Mentre l’Italia dorme, in America è pieno giorno. Qualcuno riesce a riprendere l’atroce scena. Un uomo che già ha perso tutto, casa lavoro, affetti, adesso perde anche la vita.Tanto che valore ha la vita di un barbone? Più tardi, i poliziotti si difenderanno: «Siamo accorsi perché qualcuno ci ha chiamato per denunciare una rapina. Quel barbone ci ha provocato, voleva l’arma». Questo filmato su può vedere, ed è sconcertante. La prima volta, senti nettamente solo gli spari: contro un corpo che è già per terra. La seconda volta guardi altri dettagli. Due poliziotti si staccano dal branco degli uccisori per trattenere con la rabbia, spingendola, una ragazzina nera (una senzatetto anche lei?) che coraggiosamente aveva tentato di difendere il clochard. Dai loro movimenti capisci che, se  avessero potuto, avrebbero ucciso anche la ragazzina. Il clochard aveva un soprannome, Africa. Ad una terza visione, noti anche altre persone che si fermano, che non fuggono e urlano: «Oh my God!». C’è un poliziotto nero fra di loro, che quando è ”tutto finito” abbassa il capo prendendosi gli insulti di altri neri. Ma la maggior parte degli uccisori sono bianchi. La scena è stata ripresa, e ti chiedi: e se non ci fossero stati testimoni? Poi pensiamo che ci sono altri video che hanno inchiodato altri poliziotti e ciò nonostante non c’è stata alcuna incriminazione, perché anche questa è l’America del 2015. Un paese in cui la polizia può uccidere un nero e può farla franca.  E’ successo nel Missouri, è accaduto a New York.  Il 9 agosto del 2014 un diciottenne afro-americano, Michael Brown, del tutto disarmato, è stato ucciso con sei colpi d’arma da fuoco, di cui due alla testa, a Ferguson, sobborgo di St.Louis.  A sparare era stato un agente di polizia, Darren Wilson. Dopo mesi di indagini, promesse, commissioni, il 24 novembre viene resa nota la decisione del Grand Jury: Wilson non verrà incriminato. Segue un’altra notte di guerriglia, simile a quella che aveva messo a fuoco le strade di Ferguson dopo l’uccisione del ragazzo. A luglio, un poliziotto bianco, Daniel Pantaleo, aveva soffocato un altro nero di  43 anni, Eric Garner, a Staten Island (perché gli aveva visto vendere sigarette di contrabbando sfuse a 50 centesimi l’una). Una morte orribile. Anche lì un video che dice la verità e anche lì nessuna incriminazione per Pantaleo. Scoppia una seconda rivolta. Poi tutto si capovolge e l’America si ricompatta attorno alla morte di due poliziotti, Rafael Ramos e  Wenjian Liu, uccisi da uno squilibrato che aveva però dichiarato, prima di suicidarsi, di aver voluto con quel suo folle gesto vendicare la morte di Brown e Garner. Una folla sterminata partecipa ai funerali di Ramos, la polizia volta simbolicamente le spalle al sindaco di NY Bill de Blasio, che ha sposato una poetessa afro-americana e che, dopo i fatti tragici di Ferguson e Staten Island, aveva dichiarato che non si sentiva sicuro di far girare suo figlio (che è di pelle nera) per le strade di New York. 
Abbiamo visto “Selma”, l’emozionante film di Ava DuVernay che ricostruisce la storica marcia da Selma a Montgomery che fu alla base dell’approvazione del Voting rights act (la legge sul diritto di voto dei neri).  Fu un momento della storia in cui si riuscì a pensare l’impendabile. Era il 1965. Martin Luther King sarebbe stato ucciso tre anni dopo. Sono passati 50 anni dalla marcia di Selma. Gli Stati Uniti d’America oggi hanno un presidente nero. Anche questo significa: arrivare a pensare l’impensabile, e realizzarlo. Eppure, in questo tempo lineare e progressivo, ogni tanto il tempo si schiaccia su se stesso, ritorna indietro, e ci mostra il lato più oscuro della violenza. La legge stessa si contrae, calamita le forze più reazionarie. Nel 2013 la corte suprema degli Stati Uniti ha cancellato una norma della legge che obbligava gli stati a chiedere l’autorizzazione del governo federale prima di modificare le leggi elettorali locali. La sentenza è stata usata da molti stati del Sud (governati dal partito repubblicano) per introdurre norme che imitano l’accesso al voto dei cittadini delle fasce più povere della popolazione, e quindi soprattutto dei neri. Almeno 22 stati hanno approvato leggi del genere tra il 2010 e il 2014. Come accadeva allora, ancora oggi è sempre più difficile registrarsi nelle liste elettorali. I black delle grandi periferie sono i grandi fantasmi d’America. Li si può uccidere impunemente. Africa era nero ed era anche barbone. L’avranno scambiato per un rifiuto, avranno pensato di aver fatto bene a sparargli. Vedremo se anche per lui, l’ultimo degli ultimi, l’America di Barack Obama farà la sua rivolta.
(Pubblicato sul "Garantista")
    

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