Catherine Deneuve che si tiene il volto tra le mani e piange. E’ l’immagine che inaugura, nella sua intangibilità, la 68ma edizione del festival di Cannes. Tutte le didascalie del mondo non potranno prendere il posto di quella foto. Si può soltanto scrivere: "Catherine Deneuve, Festival di Cannes 2015”. La diva è stata accolta con un affetto fragoroso. Apparentemente, lei non ha trattenuto la commozione e ha abbassato il viso. Il rosso delle unghie raddoppia il rosso del disegno al centro del vestito. Tutte le altre immagini la mostrano sorridente, ma non troppo, altera, ma con misura, elegante, eppure a suo modo semplice, il volto riconoscibile solo un po’ più tondo, il "suo" volto, quello che ci ha fatto amare il cinema francese e che ha fatto sognare anche gli italiani, per via della sua storia d’amore con un altro divo, il nostro Marcello Mastroianni (dalla cui unione è nata Chiara Mastroianni). I giornali titolo: «L’ultima diva». Il festival ha il suo battesimo di nota antica.
Catherine, che è quasi coetanea della kermesse
(il festival è nato 68 anni fa, e lei di anni ne ha 71), rappresenta il
cinema in sé. Nessuno si stupirebbe se la diva non dicesse neanche una
parola. Ancora qualcuno si chiede se sia vera o no. Ma quella
fotografia, insieme a tante altre dichiarazioni dell'attrice,
fanno pensare che Catherine Deneuve non solo sia vera, ma che ad ogni
suo movimento, dentro o fuori scena, indichi proprio la bellezza di quel
cinema che esalta il reale.
Qualche giorno fa, intervistata
da "Le Monde", aveva detto: «Non ci sono più
star in Francia». Ma non l’aveva detto con il tono di dire: non ci sono
più gli intoccabili. Al contrario, aveva insititito sulla bellezza,
sulla sua non riproducibilità, per cui ogni persona che fa opere belle
diventa in qualche modo un’opera d’arte in sé. «Una star è una persona
che dovrebbe farsi vedere poco. Quando non lavora, quando non pensa alla
sua arte, dovrebbe restarsene in posizione discreta, riservata. Con
l’era digitale assistiamo a una intrusione ossesiva nelle vite degli
altri, ad una sovra-esposizione. A causa di Twitter e Facebook, ci sono
molte persone famose, che hanno milioni di follower, e che non hanno
fatto assolutamente niente nella loro vita».
Prima di arrivare
a Cannes, l’attrrice francese aveva dichiarato: «Il festival un tempo
era molto prestigioso, ora lo è molto di meno. E’ ancora una sfida per
gli attori: arrivi alla fine del tappeto rosso, devi affrontare le scale
e i fotografi. Finisce presto, però, sei regina dalle sette a
mezzanotte».
Poi Catherine è arrivata a Cannes, ha sentito il
lungo applauso del pubblico, tutto quel calore forse inaspettato, e ha
abbassato il viso. La foto trattiene quel movimento, e quel silenzio.
Che può significare moltissime cose: la pura emozione in risposta al
calore del pubblico. Ma può anche segnare la gioia dell’essere ancora
presenti, vivi, con un’opera viva. Il cinema d’autore non è un lontano
ricordo. E le grandi attrici rimangono grandi attrici, soprattutto
quando si mettono al servizio dell’arte di chi ancora oggi sperimenta,
cerca, e si sforza di conficcarsi, come diceva Majakovskij, «nel cranio
del mondo».
Catherine Deneuve è l’attrice protagonista del
film con cui è stata inaugurata ieri la 68ma edizione del festival di
Cannes, "La Tête haute" (A
testa alta) di Emmanuelle Bercot, dove interpreta il ruolo
di un giudice minorile che per lunghi dieci anni segue la sorte di
Malopny (Rod Paradot), un ragazzo deragliato a causa dell’assenza della
famiglia e delle strutture sociali, che finirà col commetterre atti
criminosi.
Dal canto suo, Bercot, l’attrice/regista che "Le monde" ha soprannominato "l’eterna
adolescente” (in realtà ha 48 anni), appena arrivata sulla Croisette
aveva detto: «Qui si ha la sensazione di far parte di una grande
famiglia, di essere riconosciuti. È come sentirsi investiti da un senso
di legittimità che invece non riscontri sempre al di fuori del Festival
(ndr., che ha ospitato spesso i film da lei interpretati e diretti, ad
iniziare dal cortometraggio "Les vacances",
premiato anni fa proprio sulla Croisette).
«Ci sono voluti
anni per realizzare il film, che nasce da un lungo processo di indagine e
di lavoro sul campo. Ho trascorso molte settimane al tribunale per
minorenni di Parigi, negli uffici dei giudici, ho visitato molti centri
di recupero, immergendomi completamente in queste realtà che ho poi
cercato di raccontare nel film - continua Bercot - Mi ha colpito molto
la dedizione e la pazienza del personale chiamato a lavorare con e per
questi ragazzi. La rivelazione è stata proprio questa, il prendere
coscienza di quale mole di lavoro e abnegazione sia necessaria per
affrontare il problema della delinquenza giovanile».
L’edizione
2015 del festival di Cannes sarà anche ricordata per "l’anno di Charlie
Hebdo". Sono passati solo quattro mesi infatti dalla strage della
redazione del settimale parigino (7 gennaio). «Mi ha colpito il fatto
che i terroristi di Charlie Hebdo - conclude la regista - avessero avuto
dei percorsi di infanzia simili a Malony, con passaggi in centri
detentivi e assenza di percorso educativo. L’educazione è un diritto di
ogni bambino».
(Pubblicato sul Garantista)
1 commento:
Speriamo in Paolo Sorrentino, anche se il favorito sembra essere Trier
http://www.statistiche-lotto.it/festival-di-cannes-joachim-trier
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