giovedì 2 giugno 2016

Giorgio Albertazzi: "Della morte, mi affascina l'umorismo"


 Torno al blog dopo un anno. A un anno esatto da questa intervista. A pochi giorni dalla scomparsa di uno dei grandi protagonisti del teatro italiano. Spero di fare la cosa giusta.
Ha un occhio accesso su un viso ancora magro. Il carattere sembra più mite di un tempo. Diciamo che è mite e sanguigno insieme. Con una delicatezza tutta sua che però, lui dice, è il frutto di un lavoro: «La cura della forma me la insegnò tanti anni fa Visconti». Giorgio Albertazzi ha 92 anni. Non solo recita ancora, ma si prepara a fare anche un programma su Rai1, Vita, morte e miracoli: «Se ne sentirà parlare, ci può giurare».  In questi giorni, è tenuto sotto sequestro dai fan, donne soprattutto: «Esagerano, veramente, non sono un mito, non mi sono mai sentito così, mi imbarazza». L’altra sera una signora gli ha detto: «Vede, maestro, io adesso vorrei spogliarmi qui nuda per lei». Era presente anche la direttrice del Teatro Ghione di Roma (Roberta Blasi) . E lui, per tutta risposta: «Grazie». E subito dopo: «Vedremo». Forse è persino un poco timido, anche se ha giocato tutta la vita sulla fama di seduttore, però più Casanova  (che le donne le ama) che Don Giovanni (il quale invece non le ama per niente). Con se stesso è spietato. Lo si doveva capire già quando mandò alle stampe un’autobiografia dal titolo: Un perdente di successo.  «Io mi percepisco come inadeguato. La gente mi vede colto e profondo. Magari ogni tanto riesco ad essere anche profondo, ma io sono un superficiale». Sorride, ma non in quel modo con cui sorridono sempre i divi dopo che l’hanno sparata grossa, come a dire: «Hai visto cosa ho detto?». Lui, semplicemente, dice. Così come recita. Anche quando recita, dice, e gli attori giovani accanto a lui ancora si stupiscono come diavolo faccia a pronunciare: «Esigo la mia libbra di carne» in questo modo cosìdrammaticamente semplice. In scena, Albertazzi, è l’ebreo Shylock nel Mercante di Venezia (il ruolo di Antonio lo interpreta Franco Castellano: lo spettacolo, per la regia di GiancarloMarinelli,  è in scena al Ghione fino all’8 febbraio, e negli ultimi giorni sono previste repliche per non udenti e non vedenti con interpreti che traducono da un linguaggio all’altro). Ci parliamo nel foyer del teatro. Albertazzi ha chiesto un bicchiere di vino rosso: «Strano, non bevo mai il rosso, non mi piace neanche troppo il vino, semmai lo champagne. Chissà come mi è venuto in mente oggi di chiedere il rosso». Così anch’io chiedo un bicchiere di vino rosso. In fondo, fuori ci sono zero gradi.

Albertazzi, lei ritorna a Shakespeare, da cui non si è mai veramente separato: debuttò in teatro nel 1949 con “Troilo e Cressida”, regia di Visconti. E qualche anno dopo lei è stato premiato al Royal National Theatre come unico attore shakespeariano di lingua non inglese.  Cosa cerca attraverso di lui?

Non sono solo io ossessionato da Sha-kespeare. E’ l’autore più rappresentato al mondo, non per caso. Passando il tempo, scopri molte cose nuove, alcune di queste fanno parte del clima culturale dell’epoca, per esempio tutta la favolistica che c’è dentro certi testi di Shakespeare: nel Sogno di una notte di mezza estate, ma anche nel Mercante di Venezia, ad un certo punto spunta fuori la favola, appaiono le fate, le principesse. Sono figure che escono fuori dalla novellistica greco-latina a cui si è ispirato. E mi affascina anche questa questione dell’identità ambigua di Shakespeare, si è scritto molto della sua presunta italianità. In effetti l’Italia è molto presente nelle sue opere: Il mercante di Venezia, I due gentiluomini di Verona, Romeo e Giulietta…

Nel suo libro autobiografico, ”Il mio ricordo degli eterni”, il fisolofo Emanuele Severino compone un trattato sulla memoria. Convinto che ricordare sia ”errare”, nel doppio senso di perdersi e di sbagliare. Perché ciò che ricordiamo è impreciso, oscuro. Quali sono i luoghi in cui la sua mente torna più volentieri?

A proposito di questo, adesso sto preparando un programma per la Rai, si intitolerà Vita, morte e miracoli. Se ne accorgerà quando si farà. Già l’anno scorso, quando ho partecipato a Ballando con le stelle, ho buttato una specie di bomba. E stavolta sarà una bomba moltiplicata per dieci. E così sono costretto a lavorare sulla memoria, che nel mio caso è buona, ma sì, ha ragione Severino, degli eventi ricordiamo cose particolari, non quadri interi.La memoria è importante. Mi fanno molta tenerezza le persone senza memoria, sono così smarrite, fragili, è come se avessero perso se stesse. Vivono in un non tempo. Capisci come la memoria sia una invenzione nostra però scandisce il rapporto tra il giorno e la notte, rende significanti gli anni, la temperatura del mondo. Quello che ricordiamo è presente, si fa presente. Ma se c’è un popolo che è volto più al passato che al presente, questo è il popolo italiano. Non lo dico solo io.

Come se lo spiega?

Me lo spiego con la classicità. La nascita della cultura è qui, è nel Mediterraneo, è in Grecia.

La Grecia sembra di nuovo al centro del mondo. Tsipras sta terremotando la vecchia Europa.

Tsipras mi piace, ma non sono sicuro che ce la farà. Bisogna vedere quanti nemici ha dentro il suo stesso partito. Il problema storico della sinistra è la suddivisione in tante anime diverse che si fanno la guerra tra di loro.

Ma lui si è alleato con un partito di estrema destra.

Ha fatto bene. Come ha fatto bene Renzi a scompaginare le carte.

Bertinotti sostiene che il conflitto oggi non è certo tra sinistra e destra, ma tra alto e basso.

Penso sia vero. Comunque in Italia lasinistra e la destra non sono piùquelle di un tempo. Bisogne-rebbe chiamarle diversa-mente.

Lei è considerato un uomo di destra.

Sì, ma a torto, perché io non sono un uomo di destra. Indubbiamente ho un passato militare di destra, che adesso non rivendico. Avevo 19 anni quando sono entrato nella Repubblica di Salò. Comunque, anche allora ero più anarchico che fascista: andavo alle adunate, mi mettevo il maglione bianco anziché nero…

Quanto le è costata quella scelta?

Se non fossi stato forte artisticamente, ci sarei finito dentro per sempre. Nella cultura, è impossibile essere di destra. Quando nel dopoguerra si sono divisi i poteri in Italia, quello economico se l’è preso la Dc, e quello culturale è andato alla sinistra. E lì è stata dura, non solo per me. Anche uno come Zeffirelli l’ha pagata cara. Ha incontrato moltissimi ostacoli, anche se è internazionalmente noto, e la cosa non si è placata neanche adesso. Questo è terribile. Perché sono comportamenti che si basavo sul sentimento di vendetta, su una specie di rancoroso pensare nei confronti di chi non la pensa come te o addirittura si suppone che non la pensi come te. E siccome la storia la scrivono i vinti, cioè voglio dire i vincitori...

Un bel lapsus, per uno che la sua autobiografia l’ha voluta intitolare “Un perdente di successo”.

Spesso la storia è superficiale. E le ragioni dei vinti sono molto più importanti. A me interessano in fondo solo quelle, le ragioni di chi ha perso. Per quanto riguarda me, io sono abituato a questa onda di opposizioni feroci e di entusiasmi altrettanto sconsiderati nei miei confronti. Adesso per esempio ritengo che si dicano cose su di me anche eccessive, nel bene. Troppo, veramente troppo. Non si possono dire cose come: lei mi ha cambiato la vita, lei è un mito… A volte mi imbarazzano.

Lei da ragazzo ce l’aveva un mito?

Non mi pare.

Neanche Luchino Visconti?

Luchino è stato più indirettamente maestro. I suoi spettacoli sono stati per me un grande insegnamento. Ma la nostra relazionepersonale era talmente amichevole che non posso dire che fosse per me un mito. E’ stato semmai un maestro di vita… Da Luchino imparavo delle cose che non sospettavo e che cerco ora di trasmettere anche io agli altri: “l’etichetta”, un certo modo di stare a tavola. Non che io fossi maleducato, però un po’ selvaggio si, e da lui ho imparato che i calzini corti non si devono portare.

E’ vera la storia del bacio? Come accadde?

Come accadono queste cose tra una donna e un uomo? Non si sa. E così è accaduto che una volta io e Luchino ci baciammo. E siccome io tendo a dire tutto, ho raccontato anche quello. Ma fu un episodio isolato. Diciamo che lui era un tipo possessivo, tendeva ad entrare nella mia vita. Quando ho lasciato Bianca (Toccafondi), mi telefonò per dirmi: «Come ti sei permesso di lasciare Bianchina?». E’ come Antonio nel Mercante di Venezia. Ama questo ragazzo, Bassanio, però quando il ragazzo si innamora di Porzia lui gli procura i soldi per realizzare il suo sogno. C’è un modo di amare che significa occuparsi della vita degli altri. E’ una forma non di frociaggine, ma di esisetnza direi wildiana. E’ una forma d’amore piena di umorismo, di generosità.

E’ vero che a un certo punto un po’ di fan volevano candidarla come presidente dela Repubblica?

Sì, mi aveva  telefonato un signore che era rappresentante di un gruppo di trecento persone per darmi quest’annunncio e io ho risposto: «Non vi permettete! Non ci pensate nemmeno!». Per fortuna sono stati buoni.

Mattarella le piace?

Volevo un giurista, e  Mattarella mi sembra una buona scelta.  Mi piace come figura istituzionale. Un presidente deve avere a che fare con la magistratura, con la giustizia, deve avere un forte senso dello Stato.  E lui sembra avere tutte queste cose. A me piaceva anche Amato, ma era troppo scavezzacollo.

E come ha vissuto i nove anni di Giorgio Napolitano, che è anche un suo coetaneo?

Veramente è più “giovane” di due anni! Lo conosco anche personalmente. E’ un uomo in gamba. Bisogna distinguere tra presidenti interventisti e avventurosi come Pertini, che ha avuto un forte impatto col popolo italiano, e presidenti come Napolitano che hanno fatto delle trasformazioni: lui è passato da un comunismo radicale a una coscienza meno partitica.

Quali giornali legge la mattina?

Il Corriere della Sera, La Repubblica e Il Foglio, che considero il più bel giornale italiano, e un giornale locale della città in cui mi trovo (se sono a Napoli Il Mattino, se mi trovo a Firenze La Nazione, a Torino La Stampa)… Ma prima di tutti leggo La Gazzettadello Sport.

Tifoso sempre della Fiorentina?

Certo! Ma sono tifoso del calcio in generale. Ci capisco parecchio sa?

Lei sì è sposato solo nel 2006, con Pia de’Tolomei (che ha 36 anni meno di lei).

Pia è un angelo, anche se di sé pensa tutto il contrario. E comunque mi sono sposato perché lei me l’ha chiesto.

Le altre non gliel’avevano chiesto?

Come no? Tutte.

E la sua Anna? Ha voluto accompagnarla fino alla fine (ndr: Anna Proclemer è morta il 25 aprile 2013), anche se non stavate insieme da molti anni.

Anna è stata un grandissimo amore. C’era l’eros, c’era il sentimento, ma c’era qualcosa di più: una grande affinità elettiva. Insieme creavamo un mondo. Abbiamo fatto anche una strada professionale molto forte. Eravamo imbattibili insieme sulla scena. E poi la villa insieme, gli animali, i gruppi esoterici, c’era un sacco di roba che ci legava.

Casanova più di Don Giovanni?

Certo. Riconosco il fatto che Don Giovanni sia un grande personaggio, ma è astratto. La sfida di Don Giovanni è Dio. La scena saliente è quella con il povero che gli chiede l’elemosina e lui dice: ti do i soldi ma devi bestemmiare!... Io l’ho fatto in televisione, non in teatro. Ma lo vivo con distacco. Casanova, invece ama le donne, vuole essere amato, è sconfitto spesso, fa cilecca. Ed è un grande scrittore, uno dei più grandi epistolaristi. E’ scappato dai Piombi, basta dire questo…

Il suo camerino, Albertazzi, è sempre pieno di signore.

Le signore mi vogliono baciare. E io spesso chiedo: ma perché mi volete baciare? L’altra sera una bellissima donna che non avrà avuto più di 60 anni è venuta qui e mi ha detto: «Io vorrei spogliarmi nuda davanti a lei».  Di fronte a questa curiosa dichiarazione, io ho dato due  risposte una più stupida dell’altra. La prima è stata: «Grazie». E la seconda: «Vedremo!».

L’ho sentita prima parlare bene di alcuni suoi colleghi, Orsini, Mauri. In teatro, non lo fa nessuno.

Non ho forme di gelosia professionale, forse perché non ho avuto mai tante difficoltà ad essere riconosciuto nel mio lavoro. Non sono competitivo. E tendo a conservare buoni rapporti con tutti. Anche con le mie ex donne. Stasera verranno a vedermi a teatro sia  Mariangela D’Abbraccio che Elisabetta Pozzi.

Una volta ha detto che la morte l’affascina.

Della morte mi affascina l’umorismo.

Cosa c’è di umoristico nel morire?

Se la morte non fosse accompagnata troppo spesso dal dolore fisico, dalla sofferenza, sarebbe sopportabile. Io la trova assurda, e quindi umoristica.

Anna le chiese di aiutarla a morire?

Sì. Mi diceva: «Giorgio, aiutami a morire». Io tentavo di fare lo spiritoso e dicevo: «Anna, aspetta, facciamo insieme». Lei non ha sopportato proprio la sua decadenza fisica, anche se questa sua decadenza era molto relativa. Conservava la bellezza nel viso. Però certo non camminava come prima, aveva sempre sonno, non poteva più recitare. Avevo tentato di coinvolgerla negli ultimi anni, ma lei non se la sentiva. In questo non la riconoscevo. Nei tanti anni di vita insieme, non si era mai sottratta a nessuno spettacolo. Ma poi è subentrata la paura. Ho delle fotografie di Anna in cui è di una bellezza incredibile! Lo ripeto, è stata una bellissima storia. Anche se penso di averla fatta più soffrire che altro. E’ una cosa che penso sempre di me.

E’ così che si vede?

Io penso di essere sempre stato inadeguato, nella vita privata. Se va a domandare a loro, alle donne, negano. Nessuna ha mai detto: «Maledetto il giorno che ti ho incontrato». Invece, hanno sempre detto: «Benedetto il giorno che ti ho incontrato». Questo per quel che riguarda le donne, ma in generale, io non so come mai gli altri mi vedano come un uomo profondo. Io sarò anche profondo in certe circostanze, ma mi riconosco una grande superficialità di fondo. Io non vado mai per dritto, vado per orizzontale, passo da una cosa all’altra senza neanche accorgermene. Con le donne, faccio come il principe Myskin di Dostoevskij, che apprezza la bellezza di tutte. L’uomo, gli altri uomini, non sono così. Io sono così.

Ne è sicuro?

No, non ne sono sicuro.

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